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Il tempo che ti piace buttare, non è buttato. (J. Lennon)

Un libro: La campana di vetro

Testi & foto di Mikychica.lettrice

Sei brava, sei intelligente, sei sensibile, sei brillante, sei precisa. Ma non importa, la società ha già definito il ruolo per te.

Devi essere sana, moglie devota, brava madre, brava casalinga, magari stupida, simpatica e ben vestita. Se non sei conforme al modello, non sei adeguata per la vita che ti attende.

Ma questo ruolo ti sta stretto. Ti senti come in una “campana di vetro”, bloccata, senza spazio vitale, senz’aria. Nel libro emerge chiara la condizione ambigua della donna americana degli anni Cinquanta: se da un lato se ne incoraggia l’istruzione invitandola a coltivare le proprie passioni, dall’altro c’è sempre per lei la meta suprema da cui non può prescindere: sposarsi, accudire il marito, avere dei figli.

La sensibilità e l’intelligenza di Esther la portano a respingere ciò che la morale comune le impone e a prendere le distanze dal ragazzo che dovrebbe sposare, cominciando a disprezzarlo dopo un episodio che le rivela la misura della sua ipocrisia.

Il disagio lascia gradualmente il posto ad un vero e proprio malessere: è l’incertezza del futuro, il fatto di non sentirsi attraente, la sostanziale solitudine della ragazza.

Parlando per bocca di Esther, Sylvia racconta i suoi incubi, i rapporti con la madre, il sesso, la sua prima volta, l’esperienza in ospedale psichiatrico, l’elettroshock, le riflessioni sul suicidio, la depressione, la poesia, l’invidia.

Parla di sé, Sylvia Plath. Ma il suo discorso acquisisce valenza assolutamente universale e attuale. Ed è questo che fa di questo libro un vero gioiello.

L’interrogarsi di Sylvia sul senso della vita e sulle sue costrizioni diventa, lentamente e inevitabilmente, il nostro.

 

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Questa voce è stata pubblicata il 19 gennaio 2020 da in L'angolo dei libri - le nostre recensioni con tag , , , .
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