in sintesi un articolo di Agnese Codignola che leggo su Il Fatto Alimentare
Nei fast food i miglioramenti sono solo apparenti, la realtà è sempre la stessa: troppe calorie e zuccheri.
Il numero di pietanze offerte è raddoppiato, quello dei piatti più sani è cresciuto, l’attenzione di media e legislatori, è sempre alta, eppure nelle grandi catene di fast food americani negli ultimi 14 anni non è cambiato quasi nulla, dal punto di vista delle calorie. Anzi, insieme a cibi leggermente meno dannosi sono arrivate nuove bevande zuccherate e dolci, a riprova del fatto che i cambiamenti sono stati per lo più di facciata.
È disastroso il bilancio che ha tracciato Katherine Bauer, del dipartimento di salute pubblica alla Temple University di Philadelphia, sulle grandi catene di cibo pronto, perché mette in luce quanta ipocrisia ci sia in certe scelte evidentemente commerciali, e quanto sia ancora lunga la strada verso menu più accettabili.
Per quanto riguarda le calorie è leggermente diminuito il numero di quelle assunte con i contorni, scese in media da 264 a 219 (probabilmente a causa di modeste riduzioni della quantità per esempio di patatine fritte, o delle dimensioni della porzione media).
Sono aumentati i condimenti ipercalorici e i dessert: questo spiega perché, a parità di calorie medie per porzione, e nonostante l’introduzione di insalate e carni grigliate più che fritte, il bilancio finale non evidenzi miglioramenti. Nell’ultimo anno analizzato, il 2009-2010, i piatti principali fornivano in media 453 calorie e i contorni 263, in risalita rispetto agli anni precedenti.
«Si può anche ordinare un antipasto leggero, per esempio un’insalata – spiega la Bauer – ma se questa è condita con salse piene di grassi e zuccheri e magari mischiata a carne fritta, seguita da patatine fritte e bibita zuccherata il risultato finale è comunque pessimo».
La necessità di migliorare l’offerta dei fast food è stata messa in rilievo in numerosi studi e ribadita da un recente sondaggio secondo cui nel mese precedente l’80% degli intervistati aveva mangiato in uno di questi ristoranti almeno una volta e il 28% dichiarava di mangiare in un fast food da una a due volte a settimana.
Inoltre, i provvedimenti sembrano ancora più urgenti se si pensa che secondo diverse stime nei giorni feriali circa il 40% dei ragazzi americani si rivolge a questo tipo di locale per un pasto.
«Non vogliamo assolutamente concludere che bisogna evitare il fast food» sottolinea la ricercatrice, conscia del fatto che posizioni troppo rigide non sono utili ma rischiano solo di innescare una reazione di indifferenza.
«Piuttosto, vorremmo consigliare a tutti di pensare a ciò che stanno ordinando, a come il piatto è stato preparato e condito, al conteggio totale delle calorie del pasto e a scegliere dopo aver riflettuto. In questo senso, aiuterebbe molto se tutti i fast food riportassero il conteggio calorico, come ha iniziato a fare McDonald’s e come obbligano a fare la Pennsylvania e la città di New York. In assenza di un radicale cambiamento nell’offerta dei fast food – conclude la Bauer – possiamo cercare di intervenire sui clienti, facendo loro capire quante calorie in eccesso sono abituati ad assumere e quanto possa essere tutto sommato semplice ridurle».