Pochi giorni fa, dopo aver visto un toccante servizio sul genocidio degli armeni, incluso il decalogo che di fatto pianificava lo sterminio, con la Signora K si ragionava sul fatto che la memoria degli uonini è selettiva anche in fatto di massacri e si ricordano solo alcuni di essi.
Al 25 aprile ho sentito dei fischi alla Brigata ebraica che ha combattuto unitamente ad altri, di diverso credo politico o fede religiosa, contro il nazi-fascismo; fischiati loro, fischiati i deportati, i sopravvissuti dei campi di sterminio.
Però se sei contro la politica aggressiva di Israele nei territori palestinesi e contro l’uccisione di civili, peraltro uccisi anche dai palestinesi negli attentati in Israele, perchè non manifestare anche nel ricordo di armeni o ruandesi od altre vittime della follia umana?
Mi è difficile capire come si possa essere contro “a prescindere” ad un intero popolo e poi salire sul piedistallo e parlare di intolleranza verso i gay o verso le persone di colore.
Sembra quasi che il sangue di certe vittime sia di colore diverso. Finiti questi discorsi ecco che ad Achab (Rai 2) abbiamo visto l’intervista all’autrice di questo libro.
Cosa puoi dire quando leggi che in 101 giorni sono state massacrate 1.000.000 di persone?
Il 7 aprile del 1994 in Ruanda ha inizio uno dei massacri più atroci della storia: il genocidio perpetrato dagli hutu contro i tutsi e gli hutu moderati. L’ultimo genocidio del XX secolo.
In 101 giorni vengono assassinate un milione di persone, c’è un omicidio ogni dieci secondi, le violenze sono inenarrabili.
Il 13 aprile 1994 un gruppo armato hutu entra in casa di Bibi, a Kigali. Quando, molte ore dopo, Bibi si sveglia, non ricorda cosa è successo: ha solo il desiderio di bere succo d’ananas e avverte un odore pungente nella stanza.
Ha il braccio destro dilaniato, l’addome perforato dai proiettili, lesioni alla nuca e a un orecchio causate dai calci.
Nella stanza i cadaveri della mamma, del fratellino, della zia e dei cuginetti. Bibi è sopravvissuta. Oggi vive a Roma ed è una giovane studentessa di medicina.
Questa è la storia del suo viaggio infernale fino allo Zaire, insieme a un milione e duecentomila profughi in fuga da morte e desolazione.
E del ritorno al suo paese, tra inaspettati gesti di coraggio e sorprendenti atti di solidarietà, con l’inatteso lieto fine di un sogno realizzato in Italia.