in sintesi un interessante articolo di Fabio di Todaro che leggo su Il Fatto Alimentare
Negli ultimi anni diversi pastifici si sono impegnati nella produzione di pasta ottenuta con grano 100% italiano. Si tratta di una scelta realizzata per esaudire le richieste dei consumatori erroneamente convinti che la materia prima italiana sia sempre superiore.
Barilla, attraverso il marchio Voiello, da qualche settimana ha lanciato la nuova pasta di grano Aureo, una varietà coltivata nelle regioni del Centro-Sud Italia in grado di mantenere costanti gli standard di produzione anche nelle stagioni con poca pioggia. I nuovi spaghetti Voiello – assieme ad altri 24 formati – hanno una quota di proteine pari al 14,5%.
Granoro due anni fa ha varato un’apposita linea: Granoro Dedicato ottenuta con il grano coltivato nell’alto Tavoliere della Puglia. Per garantire un contenuto proteico del 13%, l’azienda barese ha selezionato sei delle 130 varietà di grano esistenti sul territorio: il Simeto, l’Ignazio, il Saragolla, lo Sfinge, l’Iride e il Core.
A Gragnano (NA), i pastifici dei Campi, Afeltra e Gentile producono pasta con grano coltivato esclusivamente in Italia. Si tratta di una specifica non richiesta dal marchio di tutela: l’indicazione geografica protetta non pone alcun obbligo sull’origine della materia prima. Nonostante ciò, la semola arriva soltanto dalla Puglia o dalla provincia di Matera.
Nella provincia di Avellino nasce la pasta Grano Armando, prodotta in quindici formati dall’azienda agroalimentare De Matteis. Nasce in provincia di Enna – varietà di grano: Core, Mimmo e Simeto – la Pasta Valle del Grano trafilata al bronzo, presente sul mercato in 26 diversi formati e proposta ad un prezzo interessante: 0,85 euro per 500 grammi.
Più a Nord operano altri due pastifici che producono pasta a partire esclusivamente da grano nazionale: Ghigi e Jolly Sgambaro (provincia di Treviso). La prima ha un contenuto proteico del 14%. Provenienza della materia prima: Emilia Romagna, Marche, Toscana (Maremma).
Jolly Sgambaro commercializza due linee di prodotto, una trafilata al bronzo ed essiccata a basse temperature con il 15% di proteine. Per entrambe il grano arriva principalmente dall’Emilia Romagna. Per completarlo si utilizzano cereali coltivati nel Veneto, in Lombardia, nelle Marche e in Puglia.
Tutti questi marchi hanno un contenuto proteico piuttosto alto: quasi mai inferiore al 13%, quando la legge impone un minimo di 10,5%.
«Un contenuto proteico maggiore – afferma Marina Carcea, primo tecnologo alimentare e direttore del programma cereali del Cra-Nut – è indice di una migliore qualità nutrizionale. Per questo motivo la percentuale di proteine condiziona anche il prezzo finale, assieme alla maggiore qualità della materia prima e ad altri parametri: come il peso ettolitrico del grano e il colore della semola»
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