Sul numero di luglio-agosto di Altroconsumo è stata pubblicata la domanda di una socia, in merito ai wurstel che sintetizzo:
I miei bambini sono ghiotti di wurstel, coma faccio a scegliere un prodotto di qualità?
In sintesi la risposta di Altroconsumo:
Se proprio si vogliono consumare i wurstel, meglio optare per quelli fatti a base di carne e senza “carne separata meccanicamente”, che è un sottoprodotto della macellazione; in parole povere l’ultimo scarto di carne. Insomma, la bontà è un’altra cosa.
Ho pubblicato diversi articoli de Il Fatto Alimentare sulla carne separata meccanicamente, tuttavia l’altro giorno ho letto un ulteriore articolo, di Sara Rossi, che dimostra come le aziende approffittino della memoria a breve termine del consumatore medio, sempre pronto a protestare, salvo poi dimenticarsi velocemente della cosa e passare oltre.
Così mentre alcuni di noi leggono le etichette, altri continuano ad acquistare i prodotti per abitudine, per pigrizia e spesso per colpevole ignoranza.
Ripeto un discorso già fatto, ma ritengo sia utile ribadire il concetto.
Mi è capitato di andare al supermercato il giorno dopo aver letto un articolo che parlava degli additivi (evitabili) che sono presenti in molti yogurt; mi sono quindi fermato davanti allo scaffale per controllare le etichette ed intanto spiegavo a mia moglie il tutto.
Di fianco a noi un’altra coppia era impegnata a scegliere gli yogurt e si sono fermati ad ascoltare quello che dicevo. Si sono mostrati sorpresi ed hanno quindi riposto il vasetto che avevano preso, ma dopo uno sguardo d’intesa, lo hanno rimesso nel carrello.
Pigrizia, disinteresse, scarsa attenzione…? Resta il fatto che ognuno di noi ha la possibilità di scegliere, ma poi la maggioranza compra quello che è abituato a comprare oppure facendosi influenzare dalla pubblicità.
Ed allora non è l’etichetta da cambiare, ma la testa del consumatore ovvero è necessario educarlo all’acquisto consapevole.
Il consumatore attento FA la differenza
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in sintesi l’articolo di Sara Rossi:
Sono passati circa due anni dalla ribalta del cosiddetto pink slime, la poltiglia rosa, ovvero il preparato industriale fatto con scarti di lavorazione insieme a parti selezionate delle diverse carni, impiegato negli Stati Uniti per hamburger e piatti pronti, al punto da essere presente, secondo le stime, nel 70% dei prodotti a base di carne.
Lo scandalo aveva occupato le prime pagine dei media di molti paesi, Italia compresa, dove però il suo impiego è limitato alla carne di volatili (in etichetta è chiamata “carne separata meccanicamente” o “CSM”) …. aveva portato i grandi produttori americani a dichiarare che la poltiglia non avrebbe più fatto parte dei prodotti venduti.
Ma le cose, oggi, stanno diversamente, e le buone intenzioni sono sfumate, oscurate dal business.
Il principale produttore di carne al centro dello scandalo ai tempi, la Beef Products Inc, che era stata costretta a chiudere diversi impianti per il crollo delle vendite, e aveva interrotto la preparazione di pink slime, nei giorni scorsi ha annunciato la ripresa della lavorazione, chiamata con il termine assai più neutro di “Lean Finely Textured Beef” – LFTB – (manzo magro e finemente tritato), così come sta già facendo il principale concorrente, la Cargill, che propone l’FTB (Finely Textured Beef).
Ma la preoccupazione dei consumatori non è passata, e la domanda è: a chi vengono vendute le due varianti del pink slime, dove le si ritrova? E quanto sono sicure?
La prima risposta è: ovunque.
L’American Meat Institute, associazione di produttori, ha ammesso che il successo del pink slime è motivato anche, se non in gran parte, da ragioni economiche: in tempi di crisi, i bassi prezzi dei prodotti a base di poltiglia sbaragliano la concorrenza delle carni più pregiate.
Alle rassicurazioni di rito, tuttavia, le associazioni di consumatori, tra le quali, in prima fila, Food and Water Watch, rispondono ricordando che il pink slime è un prodotto ad alto rischio e può essere contaminato da batteri quali le salmonelle e gli escherichia coli, e che per questo viene sempre trattato con idrossido d’ammonio e acido citrico.
Il trattamento, ammette l’associazione, è sicuro, e il pink slime può essere attraente dal punto di vista economico, ma potrebbe costare assai caro in termini di immagine, ed esporre comunque i consumatori al rischio di contaminazioni batteriche.
A quanto pare, dunque, la poltiglia rosa continua a farla da padrona sulle tavole degli americani e non solo. Fino al prossimo scandalo.