Nei giorni scorsi ho letto su Il Fatto Alimentare questo articolo, il cui titolo racconta già tutto:
Slow Food propone una petizione contro il “formaggio senza latte”. Il problema non esiste. All’estero si usa già una percentuale di latte in polvere per standardizzare la lavorazione
Al solito i media hanno fatto un gran polverone su un fatto che in realtà non esiste, dimenticandosi invece di dire che una regolamentazione chiara, con l’indicazione in etichetta dell’eventuale presenza del latte in polvere, sarebbe un vantaggio per il consumatore che potre quindi fare acquisti consapevoli.
Vedi: Formaggi con il latte in polvere? Basta leggere l’etichetta e fare scelte consapevoli
Se non fosse che ieri su Alice TV ho visto uno spot che racconta una storia sbagliata e fuorviante per i consumatori, dove si parla di obbligo di utilizzo di latte il polvere, per favorire i produttori tedeschi.
scrivono su Il Fatto Alimentare: inoltre i latticini Dop, Igp e Stg sono esclusi dal provvedimento
scrivono au Altroconsumo: Nel parlare di formaggi di qualità non possiamo non citare i nostri formaggi DOP….Per questi esistono regole precise di produzione che non lasciano spazio al latte in polvere.
Nel momento in cui il latte impolvere è incidato in etichgetta, cosa questa che adesso non succede per gli yogurt, potremo scegliere. Saremo noi consumatori a cacciare il cattivo dal mercato. Certo, bisogna informarsi prime ed essered eterminati dopo, ma la storia degli ultimi anni insegna che abbiamo un grand potere in mnao, per cui usiamolo.
P.S. ed ora in tv arrivano gli spot di biscotti dove si evidenzia che non c’è l’olio di palma… le aziende capiscono l’aria che tira…
se ho ben interpretato la modifica UE, si vorrebbe consentire l’utilizzo del latte in polvere ANCHE per i formaggi DOP (denominazione d’origine protetta), prodotti secondo specifici disciplinari che (oggi) non lo prevedono.
Quindi, a mio avviso, bene la indicazione dei componenti nella etichettatura (da parte mia, ho eliminato gli alimenti con olio di palma), ricordando però che, da sempre, il prodotto “cattivo” (= di qualità scadente) scaccia dal mercato quello “buono”